giovedì 6 marzo 2008

JACK-Lettere di un barbone

1. Ci sono degli attimi in cui credo che il mondo non giri per il verso giusto. Ciò mi accade quando avverto che Morfeo sta per afferrarmi, quando sto nel mio letto e ripenso alla giornata appena trascorsa. E’ in questi momenti che mi rendo conto della monotonia della vita, della futilità dell’esistere, e che mi chiedo cosa sia che mi faccia tirare avanti. Ormai sono dei mesi che non vedo una passera e penso che ormai, visto come sono ridotto, non vi sia neppure una femmina che desideri trascorrere una nottata in mia compagnia. Io sono Jack e la gente mi chiama barbone. Io sono Jack e sono un senzatetto. Ho cinquantatre anni suonati ed il mio letto è uno scatolone, la mia casa è la strada, la mia vita è il bere. Le grigie giornate trascorrono lente per la gente come me, costrette a contare sulla pietà dei passanti per accattare qualche moneta con la quale potersi sbronzare in una delle tante rivendite di liquori. E’ una vita di merda, fidatevi. La gente è molto più bastarda di quanto si possa pensare. Non sono state poche le volte in cui ho ricevuto insulti, imprecazioni e bastonate solo per aver cercato di elemosinare qualche spiccio. Ma anche se non sono un frocetto dall’alito profumato e in abiti firmati, io mi ritengo un signore, uno che dalla vita è riuscito a ricavare qualcosa di più di qualche futile pecunia e di qualche scopatina con donnette dalla fica curata. Io non mi lavo ma profumo ugualmente. Posso puzzare di sudore, di strada o di birra, ma io sento solo il profumo di un uomo che ha saputo riconoscere la gioia nelle sofferenze. Ed io apprezzo il mio candido fetore poiché è l’odore di chi sa di non sapere, l’odore del saggio che finalmente ha compreso l’importanza della semplicità. Sorrido quando passeggio nel parco mentre il sole mi accarezza e riscalda. Sorrido quando nel bar un cuore generoso mi offre un calice di rosso e quattro parole. Ma piango quando non avverto amore nell’aria, quando la solitudine mi attanaglia e quando la fame e la sete mi logorano le viscere. La gente non sa e non mi conosce. La gente non può immaginare quanto sia grande la mia sete di vino, e non può conoscere il dolore che lacera il mio spirito quando rimango a secco, quando rimango appoggiato al bancone con davanti agli occhi solo un bicchiere vuoto. C’è chi mi deride ma io non mi piego, e rispondo alle risa con insulti che alcun uomo sano di mente sarebbe in grado di pronunciare. C’è chi mi compiange ma io non mi rattristo, e dono loro un malinconico e sincero sorriso.
Io sono Jack, il re della città. Io sono Jack, il dio del vino. Io sono Jack, l’uomo sofferente. Solo da ebbro cammino felice tra le vie del mio lercio regno fatto di mura, marciapiedi e bettole. Solo se sono ubriaco apprezzo i miei sporchi e lunghi capelli biondi e la barba brizzolata. Solo se sono sbronzo adoro la mia pancia dolorante e gonfia per via dei liquori ingeriti. Solo se sono strafatto amo me stesso e ricevo del calore. Quando sono fortunato fumo del crack e sono felice. Quando sono sfortunato il piacere passa, sogno un’altra fumata, e non desidero altro che morire.
Ma non sono così da sempre. Un tempo ero un padre di famiglia, e amavo i miei cari figlioli più di qualsiasi altra cosa al mondo. Avevo un lavoro che non mi dispiaceva ed una moglie che con la sua bellezza ed i suoi modi gentili pareva emanare una luce quasi celestiale. L’amavo, porca troia se l’amavo. Era il mio cuore, la mia stella, il mio sole e la mia luna. Non ci sono parole per descrivere l’amore che provavo, ma tante sono quelle che potrei usare per descrivere l’odio che provai quando se ne andò lasciandomi solo come un cane. Non sono ancora riuscito a capire perché se ne andò, ma quel suo gesto lasciò in me una ferita che neppure il tempo poté rimarginare. Abbandonai tutto e decisi di dedicarmi al vagabondaggio, di girare per il paese senza una meta e ripromettendomi che non ci sarebbe stata più alcuna donna alla quale avrei donato il mio amore. Così ora mi ritrovo ad essere un tossico in cerca di pace ed incapace a provare amore e sentimenti per le persone. Sono un asociale e non desidero altro che essere lasciato tranquillo e libero di potermi sbronzare ogniqualvolta ne abbia voglia. Io sono Jack, il principe dei barfly. Io sono Jack, il migliore tra i vagabondi. Io sono. C’è chi ritiene che io sia un pazzo e chi pensa che la gente come me neppure esista. Ma io ci sono. Esisto come esistono le leggende, vivo come vivono i miti, e mangio e caco come fanno gli uomini. Penso solo ai fatti miei e sono felice. Non si hanno inutili preoccupazioni vivendo per la strada. La mensa mi offre un pasto caldo e sono felice. Una vecchina mi dona qualche dollaro e mi ubriaco, e sono felice. Evito l’amore perché odio il dolore e fumo il crack perché amo il piacere. Non invidio nessuno e non desidero alcuna ricchezza poiché non mi serve. Odio le comodità e la gente che da essa dipende. Odio quei frocetti blasfemi e schiavi del dio denaro, quei maledetti consumatori di coca-cola e ingeritori di prodotti biologici. Io amo la strada e chi ci vive e lavora. Amo l’amicizia dei miei compari e la simpatia delle prostitute che di notte invadono il mio marciapiede donandomi di tanto in tanto un po’ del loro amore. Io amo il vino, il rum, il whisky, il gin e le scopate facili. Desidero trascorrere quel che mi rimane da vivere in pieno, non voglio rimpianti e non ne avrò. Vivrò sempre come mi pare e piace, me ne fregherò dei giudizi dei passanti e berrò fino alla nausea ogni volta che mi andrà di farlo. Solo la morte potrà cambiare questo mio modo d’essere, solo l’inferno, con le sue fiamme perenni, piegherà il mio orgoglio. E intanto rimango ad aspettare, ad attendere il giorno in cui diventerò cibo per i vermi. Mi chiedo solo in che modo me ne andrò, anche se non so se mi piacerebbe sapere cosa sarà a provocare il mio trapasso. Forse la lama di un pappone, qualche bastonata di troppo, il freddo gelido o una fumata sottovalutata. Non so e più di tanto non mi interessa. Ed intanto rimango a bere e a sbronzarmi, a ridere e a piangere, aspettando il fatidico giorno in cui quei maledetti vermi verranno per divorarmi.

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2. Ho bisogno di dormire ,cazzo. Questa stanza puzza, impregnata com’è del fetore di piscio e di vomito. E quel maledetto suono proveniente dai macchinari che mi hanno attaccato addosso mi fa passare il sonno e mi riempie il cuore d’ira. Le infermiere passano sbraitando e non sembrano più di tanto preoccupate della salute mia e dei miei vicini di branda. Vorrei ammazzarle tutte, ma sto male ed è già tanto se riesco ad alzarmi per andare al cesso. Un dolore pulsante all’altezza del fegato mi lacera dentro e mi vorrebbe far urlare. Vorrei un goccetto che placasse questo maledetto dolore, ed un fucile che mi permettesse di zittire quelle maledette galline in camice verde. Ma niente, devo sopportare entrambi. Ho già chiesto al dottore dell’altra morfina ma quello non ne vuole sapere di una seconda endovena. Fermo allora una di quelle oche starnazzanti e le chiedo di procurarmi del crack. La troia non mi risponde nemmeno e se ne va guardandomi con disprezzo. Nessuno mi caca in questo posto di merda, nessuno sembra preoccuparsi di me, di Jack, il dio del vino, il principe dei vagabondi, il re della strada. La tristezza mi avvolge e la mia anima piange. Sono solo. Sono solo e vorrei dormire. Sono solo e vorrei morire. Ho un colore giallastro e le mie feci emanano una puzza nauseante, ho le bave alla bocca e non faccio altro che vomitare sangue. Sono già morto ma respiro ancora. Sono già morto ma Dio vuole farmi soffrire ancora. Ho quasi sessant’anni e mi ritrovo a piangere come un neonato in un letto d’ospedale, abbandonato dal mondo e dai parenti più cari. Non credevo che alla mia veneranda età avessi ancora lacrime da versare, ma forse niente in cui credevo era vero. Adesso odio tutto e tutti. Odio chi, quand’ero ancora un bimbo, mi diceva che la vita era una cosa meravigliosa, che un giorno sarei stato felice e che sarei diventato qualcuno. Che mi venga a vedere ora. Puzzo di cadavere ma sono vivo, intorno a me è pieno di gente ma sono sempre solo, ho voglia di scolarmi una birra ma la sete rimane. Cerco allora di consolarmi ripensando ai momenti felici della mia vita, a quando profumavo ancora di strada e di vino, a quando ero il numero uno nella via e fumavo il crack, a quando avevo imparato a vivere senza amare. Ma niente, delle altre lacrime, lacrime di nostalgia, sgorgano dai miei vecchi occhi malandati. Mi sto prendendo in giro. Mi sono preso in giro per anni. La verità è che rimpiango ancora mia moglie e i miei figli. La verità è che sono stato felice solo quando ho amato e sono stato amato. E’ da anni che non li vedo, anni che mi sembrano secoli, e mi chiedo se mai un giorno li rivedrò. Ci spero ancora ma mi sembra difficile. E’ inutile che mi illuda così. E’ inutile. Ma posso comunque ricordarli, utilizzarli come una specie di eroina in grado di alleviare il dolore che logora il mio ventre e la mia anima. Però ho sonno. Ho sonno e non riesco a dormire. Ho fame e non riesco a mangiare. Ho sete e non posso bere. Ho voglia d’essere amato, e non posso. No, non posso. Tristezza e frustrazione invadono il mio cranio e offuscano i miei pensieri. E’ strano. E’ strano che debba finire proprio così, ma forse è quel che mi merito. Forse è meglio che mi lasci andare, che posi la penna e mi lasci prendere da quegli angeli oscuri impugnanti forche roventi. Sì, è meglio così. E’ meglio che chiuda i miei occhi stanchi, con la consapevolezza che quando li riaprirò non sarò più qui con voi, ma in un inferno di fuoco e fiamme. Li vedo quegli angeli oscuri, li vedo e ho freddo, e sono stanco, stanco di vivere. Buonanotte. Addio.


Jack, l’uomo, il dio e lo spirito.

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