sabato 17 ottobre 2020

No title

Ehi tu, svegliati ed apri gli occhi. Alzati e fammi rivedere i tuoi splendidi occhietti azzurri. Dai, non scherzare, mi fai paura. Non puoi andartene così in una giornata di sole. Ehi, ti prego, non tenere il fiato. E respira cazzo! Riapri quegli occhietti e non scherzare. Ma gli occhi non si aprono, lo scherzo si fa serio, e la realtà diventa nuovamente un incubo dal quale non ci si può svegliare. Ma è l'ennesimo di una serie insopportabile, ed una bestemmia sincera e convinta mi si imprime nell'anima, e stavolta la sento incidersi in profondità, nelle ossa, con scalpelli forgiati dall'odio e la disperazione. Le lacrime versate sono una tempesta che infuria, e gli sguardi sfatti di chi ti ha amato mi pugnalano al cuore e lo fanno sanguinare. Regalo affetto, e dispenso baci ed abbracci, ma la forza se ne va e la giacca mi si intinge di acqua e sale, di tristezza e dolore. E mi convinco sempre più che sia Lei ad amarmi e che di me non possa fare a meno. Mi segue da sempre, questo è sicuro, è da quando sono bambino che mi osserva e mi prende per mano. La vecchia Stalker però ora si fa arrogante, molesta, mi accarezza le palle e, sussurrandomi d' amore, mi seduce. E' perversa, cazzo, malata, e Dio non mi aiuta e Lei non mi vuole lasciare andare. “Ogni giorno che passa a Te mi avvicino, amore ti giurai il primo giorno, e nell'ultimo ti donerò la mia luce.” La Signora si libera della falce e si alza la tunica, appoggia il suo capo al mio, e ne sento il fetore, il puzzo di muffa e putrefazione, avverto la tensione nell'aria e quel suo nefasto desiderio che mi terrorizza ed attrae. Sento la Morte abbracciarmi, toccarmi come non ha mai fatto, amarmi come non dovrebbe, e ho paura. Il membro si fa turgido e tosto, e delle mani ossute lo accarezzano, ed apprezzo quelle labbra imputridite che mi baciano lì dove non dovrebbero, ed un brivido caldo mi parte dai testicoli per arrivare al cranio e farmi stare bene. E in un breve istante raggiungo il Paradiso, incontro per un momento quel Dio in cui non credo, un vecchiaccio stronzo dalle pupille dilatate e l'alito sfatto, un vecchio balordo con cui non vorrei avere a che fare. E invece me lo ritrovo lì di fronte, onnisciente come sempre, spocchioso come il peggiore figlio di troia che non sia mai nato, ed un ruggito mi nasce dal profondo, e divento una tigre, una bestia di cui si dovrebbe aver paura. E gli afferro la gola, gli stringo stretto il pomo di quel primo uomo che non avrebbe mai dovuto creare, e, mentre lo mordo alla giugulare, il mio ginocchio lo colpisce lì dove fa più male. Lo vedo tossire, accasciarsi nel suo stesso sangue, e sorrido incurante delle maledizioni che mi getta addosso mentre ritorno tra le letali ed ossute braccia di Colei che mi sta donando la sua passione. Ed una fellatio mi conduce verso il niente, verso il sonno senza fine, so che un caldo e rassicurante inferno mi attende e, con un amaro sorriso stampato sul volto, auguro a tutti voi una buona notte. 'Notte zia, 'notte nonnino, 'notte zione e 'notte papà. Vi auguro a tutti una serena ed eterna notte. Ciao, oh miei cari, e addio..

mercoledì 9 settembre 2020

Le cicale cantano giocose

Le cicale cantano giocose, spensierate, come se l’inverno non fosse prossimo e l’estate non stesse per finire. Una leggera brezza rinfresca l’aria, e smuove le foglie e i rami degli alberi, mentre il terriccio ancora umido e le abbondanti pozzanghere mi ricordano che ieri ha piovuto, e che forse oggi pioverà ancora. Ma la tempesta è passata, e una calda e fioca luce avvolge il giorno e la vita. Il cielo al momento è sgombro, e quel vecchio capanno degli attrezzi se ne sta lì, immobile, fisso in quel luogo senza un senso e senza tempo. Una vecchia signora mi spia da una finestra, e mi scruta fumare dell’erba, protetta da quei vetri spessi e da una tenda ingiallita dagli anni, mentre un trentenne pazzo e dall’animo poco scaltro, di tanto in tanto, se ne esce da uno squallido portone borbottando frasi prive di significato e che mi appaiono un poco inquietanti. “ Mi sono pulito bene il culo?”, chiede l’uomo urlando, “Venite a vedere la mia pala eolica che va a corrente!!”, dice. Oppure: “Attenti al fantasma dell’opera che vive ai bordi della via”, “L’universo rosso sta per collassare!!”, e “porco dio”, e porco quello e porco pure quell’altro. Io continuo a fumare, e le cicale a cantare, ma il cielo torna ad imbrunirsi, ed un tuono improvviso scuote l'aria, e la pioggia ricomincia a cadere, ad inzupparmi, come per gioco, ed il vento dell'est si mescola alla grandine ed inizia seriamente a farmi del male. Le strade si riempiono d'acqua, i tombini impazziscono, il folle si dilegua, e piccoli fiumi trasportano con sé ratti e cicale, e nessuno più canta e grida in questa notte segnata dal gelo. Allora abbandono i calzoncini corti, consapevole che l'estate sia finita e che l'autunno stia prendendo il sopravvento, e mi rifugio dove mi sento più sicuro, nel mio caldo, vecchio e sgualcito cappotto nero, ciò che ho di più caro e che porta con sé il profumo dell'infanzia, il sapore della famiglia. Qui mi crogiolo nei ricordi della spensieratezza, di quando ero un bimbo, di quando la gente non si ammalava e non moriva, di quando l'estate era eterna, e si giocava a pallone, e a scuola ci si divertiva. A quei tempi c'era sempre qualcuno che ti raccoglieva mentre cadevi, c'era sempre chi ti teneva per mano quando ti disperavi per un attimo di solitudine e ti pareva di morire, c'erano i tuoi genitori, i nonni e gli zii, tutti vivi, tutti salvi, tutti pronti a coccolarti in ogni istante, anche quando sbagliavi e non te ne accorgevi. In quegli anni tutto era perfetto, ed in questo cappotto il freddo non mi tocca, mi passa accanto come se non mi appartenesse, il vento mi sfiora senza scalfirmi, e, mentre lo indosso, riesco ancora a sentire in lontananza un flebile canto di cicale e di vita. E l'amore mi riscalda il cuore, l'amore di chi mi sta e di chi mi è stato accanto, l'affetto degli amici più cari, di quelli fraterni e di quelli no, di chi è cresciuto, di chi è rimasto scemo, di chi è partito per il lungo viaggio e di chi è ancora qui per regalarmi quattro carezze ed un bicchiere di vino. E quel bicchiere io lo tracanno come se non ci fosse un domani, come se fosse l'ultimo, poiché l'alcolismo mi calza a pennello e la vita mi sta stretta, perché adoro le carezze e solo con esse trovo quella pace che l'esistere non mi sa dare. E queste rughe sono profonde cicatrici che mi solcano il viso, esibisco con orgoglio il tempo trascorso e il logorio che ne comporta, e, mentre mi osservo allo specchio, vedo mio padre e mio nonno, e mi commuovo, e gli occhi mi si riempiono di lacrime e sangue perché sento che ormai tutto sta per finire. Dei fiocchi di neve iniziano cadere, e pian piano avvolgono questo corpo stanco che le gambe non riescono più a reggere, e la bufera mi travolge, gli occhi parlano solo del bianco e del nero, l'udito tradisce i suoni ed il pensiero cavalca mondi trascorsi che ormai non hanno senso ma che devono essere ricordati. Ed allora parlo della guerra e di come sono scappato, dei nazisti, dei ferrovieri, e della brava gente che mi ha protetto, e di come ce l'ho fatta a ritornare a casa. E c'è chi mi ascolta e chi no, c'è chi mi ama e chi vorrebbe uccidermi, e le mosche svolazzano felici su di un cavallo che non ha più forze e che ormai si lascia andare. Sento il freddo accogliermi, e non ha importanza, una squallida eredità lascerà unicamente discussioni ed amore. E dormirò sogni eterni, perché sono solo un cialtrone morente in un mondo di eroi, sono solo uno dei tanti, sono solo una flebile ma intensa luce che sta per spegnersi ed essere inghiottita dal nulla. Con un gemito di dolore finalmente abbandono la carne, saluto per sempre quel sacchetto di budella, sangue e muscoli che mi ha accompagnato per tanti anni, e mi fermo ad osservarlo, ad ammirare la neve ricoprirlo come a volerlo proteggere, rimango estasiato dalla natura che vi brulica attorno, e pian piano il gelo si scioglie, e scoppio in un pianto di gioia quando scopro che da lì, dove una volta c'era il mio cuore, ora si erge una candida e meravigliosa margherita. Ed un bambino le corre incontro, lo vedo sorridere mentre si china per raccoglierla, e sorrido con lui mentre si allontana, mentre lo vedo correre e sparire dietro a quel vecchio capanno che se ne sta lì, immobile, fisso in quel luogo senza un senso e senza tempo. “Mamma, mamma!! Che bello! Guarda, è tornata la primavera!!”.