lunedì 14 luglio 2014

SETE

Sono sempre assetato, sempre, e le fauci secche e l’arsura pregnante mi premono costantemente sulle meningi, e, quando la sete si fa insopportabile, i genitali mi si gonfiano, ed iniziano a pulsare sino a farmi gridare e piangere per la disperazione ed il dolore. Il medico mi ha diagnosticato una malattia rara, qualcosa che ha a che fare con la genetica, una sindrome neozelandese innescatasi con la mia prima sbronza, una cosa che da quel giorno mi costringe ad ingerire in continuazione alcol, a tracannare ettolitri di dolce nettare in modo da poter compensare un deficit dopaminergico a livello dell’ipotalamo o qualcosa del genere, un qualche organo che per quel che mi riguarda sta nelle immediate vicinanze del buco del culo, o più precisamente tra lo scroto ed il buco del culo stesso. Una diagnosi pesante, insomma, ma poi un giorno per fortuna è arrivato uno psichiatra che, con mio gran stupore, mi ha rassicurato dicendomi che sono solo un alcolista, e che tutto andrà bene, per il verso giusto, perlomeno sino a quando tra me e la bibita non si frapporrà una bella cirrosi o un’epatite di qualche tipo. Pertanto non devo preoccuparmi, per niente, perché per me la vita trascorrerà tranquilla, vivrò gioie e dolori, come tutti, sino all’istante in cui la morte non mi noterà, e innamorata persa mi condurrà a lei nel peggiore dei modi, rovistando tra le mie budella e lasciandomi salutare il mondo con la bocca impregnata di un sapore agre di bile e di fegato malandato. Ma non mi importa di come andrà a finire, poiché, per come la penso, ogni fine è di per sé misera e meschina, e perciò credo che la mia non sarà peggiore di tante altre. Ed allora continuo a bere come è nella mia natura fare, per ore, per giorni interi, lasciando intendere a tutti di essere solo un alcolizzato, un semplice ubriacone. Certo, oggi ho bevuto, ed anche ieri e ieri l’altro, ma in fin dei conti questo è ciò che mi piace e che so fare meglio. E allora perché cambiare? Forse per il giudizio ottuso di un qualche omino che, di tanto in tanto, alle prime luci dell’alba, mi vede urinare dal molo, mentre mi sbocco addosso ed impreco contro dei vecchi fantasmi che non conosco ma che m’hanno ugualmente abbandonato? O per l’impressione balorda di certa brava gente che sogna un mondo perfetto abitato da fatine dei denti e fatto di marzapane? No, non m’importa. Non mi importa di nulla e di nessuno perché odio le persone e i loro stupidi problemi. Odio i falsi sorrisi e le belle parole. Odio le parole d’odio e le frasi d’amore. Odio tutto ciò che mi circonda, e disprezzo quella parte di me che mi fa odiare e maledire ogni cosa. Certo, odio tutto perché sono solo, solo un ubriacone, è vero, ma purtroppo non sono solo questo. Sono questo, soprattutto questo, ma anche dell’altro e dell’altro ancora. Sono la lacrima insanguinata che sgorga dall’occhio di un buffone triste, sono la crepa nell’animo di un suicida, sono la fottuta falla di una fottuta nave che sta affondando. Ma sono anche il sorriso stampato sul viso di un bambino, l’eroina che impetuosa circola nelle vene di un tossico e che ne rinfranca lo spirito, sono il Cristo, la religione, sono una sfattanza che rende il mondo un luogo più accogliente e sopportabile. Ed è per questo che ora sono qui, solitario, seduto al bancone di un bar, una bettola fetente dove la gente profuma di escrementi e batteri, un luogo lugubre dove Dio non è mai entrato. Sono qui per rendere il mondo un posto migliore. Sono qui e butto giù del vino, a grandi sorsate, e la morte non mi spaventa ed invecchiare non è più poi così doloroso. E scoreggio parolacce perché pian piano è la bibita a comandare e non mi importa più di quello che dico e faccio. E mi alzo, e continuo a tracannare, e ciarlo di cose senza senso che si perdono nel niente, parole fasulle a cui nessuno farà caso. E dopo l’ennesimo grappino, ed un altro e un altro ancora, ecco che finalmente la stanza mi ondeggia sotto i piedi, e non faccio nulla per restare con voi, e mi lascio cadere, e divento solo un pupazzo nelle mani del destino. Non sono altro che un burattino maldestro nelle mani di un dio goffo e cerebroleso, penso, ed emetto una risata fiacca, una risata fiacca e stanca che mi abbandona perplesso al suolo. E penso che tutto vada bene così, e che le cose potrebbero andare meglio ma anche peggio. E alla fine mi ricordo, mi ricordo di questa sete che mi divora da dentro, mi ricordo che vorrei continuare a bere, di tutto, e per tutta la notte e più. Birra. Vino. Sgnappa. Non so, ma meglio buttar giù qualcosa di forte, e voglio e ordinerò qualcosa di tosto e robusto, qualcosa che mi anestetizzi una volta per tutte, la gola, e plachi finalmente questa mia insaziabile, logorante e fottuta sete. E allora mi rialzo su queste gambe molli, e barcollo, e a fatica ritorno lì, dove è il mio posto, dove sarei sempre dovuto stare. Ritorno al bancone del mio bar e chiamo ciò che di più forte offre la casa. E osservo l’oste riempirmi il bicchiere. Lo vedo calmo, freddo, speranzoso nel versare. Scorgo nei suoi occhi la speranza, la pena, il ribrezzo, il desiderio che questo sia il mio ultimo bicchiere, la noia, la voglia di uccidermi. Vedo in lui tutto e niente, e non mi importa. Mi importa solo che continui a versare, e che continui come sempre a far scorrere la bibita a fiumi negli oscuri ed infiniti meandri che conducono al mio grasso e flaccido ventre. E’ solo questo ciò che importa, ora e sempre, cin. Con un buon bicchiere di acido muriatico tutto passa, anche la sete.

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